Pensioni: sempre più magre dal 2020

Il nuovo anno non prevede alcuna grande novità per gli importi in pagamento, se non rivalutazioni assai modeste.

di Gianni Tel, 50&Più

Dopo anni di mancata rivalutazione a causa del blocco (2012 e 2013 con la Legge Fornero) e dell’inflazione negativa (2016 e 2017) a partire da gennaio 2018, per il 2019 e per il 2020 l’adeguamento delle pensioni al costo della vita (la perequazione automatica) ha previsto valori assai modesti, l’1,3% per il 2018, l’1,1% per il 2019 e solo lo 0,6% sull’importo attualmente in pagamento. L’inadeguatezza del meccanismo di rivalutazione automatica continua a produrre un costante e grave disagio economico a tutti i pensionati. Su tale versante si avverte la necessità assoluta di un meccanismo più specifico di rivalutazione delle pensioni, più adatto a rilevare l’inflazione effettivamente subita dalle famiglie e dai pensionati, in cui sia adeguatamente ampio il peso dei beni alimentari, energetici, dei servizi sanitari e delle spese per la salute. L’Inps, nel frattempo, si prepara al rinnovo dei mandati di pagamento per il nuovo anno, sulla base di un dato provvisorio il cui valore, stando agli ultimi dati Istat, dovrebbe essere appunto dello 0,6%. Vediamo adesso quali sono le prestazioni, i vari importi e le percentuali spettanti (vedi Tabella A).

» MINIMO E TRATTAMENTI SOCIALI

Con l’incremento dello 0,6% la pensione al minimo sale da 513,01 a 516,08 euro al mese, segnando un progressivo mensile di 3,07 euro. Allo stesso modo si procede ad adeguare le prestazioni assistenziali per i cittadini in stato di bisogno. L’assegno sociale, cioè la prestazione introdotta dalla Riforma Dini del 1995 (con 65 anni dal 2012, 67 dal 2019), passa da 457,99 a 460,73 euro al mese. Mentre la pensione sociale, prevista per gli ultrasessantacinquenni che hanno raggiunto l’età prima del dicembre ’95, sale da 377,64 a 379,70 euro al mese.

» PENSIONE AL MILIONE

Chi ha ottenuto la maggiorazione fino ad un milione di lire al mese può contare, dal 2020, su un assegno di 652,52 euro. La cifra si ricava sommando all’importo del trattamento minimo di 516,08 euro la maggiorazione di 136,44 euro, prevista dalla Legge n. 127/2007 che ha aumentato le pensioni basse.

» PENSIONI SUPERIORI AL MINIMO

In questi ultimi venticinque anni di vita la perequazione per i pensionati con importi superiori al minimo è stata oggetto di particolari attenzioni da parte del legislatore, che ha rivisto le regole allo scopo di aggiustare i conti pubblici. Dal 1° gennaio 2020 anche l’attuale Governo (se non saranno previsti altri ripensamenti) ha previsto una mini rivalutazione delle pensioni per il biennio 2020-2021 e cioè:

– 100% per pensioni fino a 4 volte il minimo Inps;

– 77% per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a 5 volte il trattamento minimo Inps;

– 52% per i trattamenti tra 5 e 6 volte il minimo;

– 47% per i trattamenti pensionistici tra 6 e 8 volte il trattamento minimo Inps;

– 45% per i trattamenti tra 8 volte e 9 volte il trattamento minimo;

– 40% per i trattamenti superiori a 9 volte il minimo.

A decorrere dal 1° gennaio 2022 verranno riviste le fasce di rivalutazione parziale. Tutti i pensionati Inps/ex Inpdap che percepiscono un assegno mensile di pensione superiore a 2.052,04 euro lordi, vedranno nuovamente ridotto il proprio potere d’acquisto. Il costo della vita sale e le pensioni restano ferme. I pensionati penalizzati dal provvedimento sono circa 3 milioni su 16 milioni in totale; e i più penalizzati sono proprio quelli che hanno versato in maggiore misura contributi e imposte, segnatamente l’Irpef, a differenza degli altri 8 milioni di pensionati totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato.

È sconcertante poi pensare che il blocco della rivalutazione ha superato la soglia dei dieci anni di anzianità: è certamente questa la parte più grave, iniqua e dolorosa introdotta dal legislatore. Tale sistema di adeguamento non ha mai tutelato concretamente il reale potere d’acquisto dei pensionati che, negli ultimi 15 anni, hanno subìto oltre il 30% di perdite.

Le soluzioni adottate (11 volte) non sono state assolutamente ispirate a criteri di ragionevolezza.

Anche se non siamo pessimisti ma realisti, queste incertezze crescenti e le vaghe promesse stanno creando tante preoccupazioni, tensioni, paure e poche speranze tra i pensionati del nostro Paese. La Tabella B mette a confronto la rivalutazione secondo le norme che dovevano tornare in vigore, dopo lo stop deciso negli anni precedenti per via della crisi economica, e quella in base alle norme della prossima Legge di Bilancio 2020, sempre sulla base del tasso di inflazione dello 0,60% per l’anno prossimo.

A partire, invece, dal 2022 è stato previsto che gli scaglioni torneranno ad essere tre: 100% fino a 2.052 euro; 90% da 2.052 a 2.565 euro; 75% sopra i 2.565 euro.