Prestazioni assistenziali: quando l’Inps chiede la restituzione delle somme

Una sentenza della Corte di Cassazione fa chiarezza sulle modalità di intervento in caso di ratei non dovuti dettando tempi e modi.

Ogni anno l’Inps invia migliaia di richieste di restituzione di prestazioni corrisposte adducendone l’indebita erogazione. L’indebito può formarsi sia su prestazioni di natura previdenziale sia su prestazioni di natura assistenziale. Però, mentre per l’indebito previdenziale il legislatore ha previsto norme apposite, nulla ha invece disposto per la materia assistenziale.

E proprio a causa dell’assenza di espresse previsioni di legge, l’Inps ha tentato, più volte, di sostenere che agli indebiti assistenziali si applica il principio generale di cui all’art. 2033 c.c. in base al quale ogni erogazione non dovuta è da considerare indebita e soggetta a restituzione senza dover valutare, in aggiunta, alcuna condizione soggettiva del beneficiario per la ripetibilità delle somme.

Secondo l’Inps infatti la revoca dei benefici assistenziali agli invalidi civili produrrebbe effetti dalla data della visita sanitaria di verifica e la richiesta di restituzione delle somme non sarebbe soggetta al rispetto di termini ragionevoli ne all’obbligo di sospendere i pagamenti e tanto meno a quello di emanare un formale provvedimento di revoca.

L’effetto di tale interpretazione sarebbe proprio la possibilità per l’Istituto di procedere al recupero di somme pagate indebitamente anche a distanza di dieci anni dalla loro erogazione.

Questo causa, evidentemente, una disparità di trattamento tra i percettori di un indebito assistenziale ed i percettori di un indebito previdenziale la cui concreta possibilità di restituzione è soggetta, invece, alla verifica preliminare dei requisiti soggettivi di condotta dell’assistito (false dichiarazioni e dolo) ed al rispetto da parte del soggetto erogatore dei tempi di accertamento e recupero previsti dalla legge.

Sul tema è quindi dovuta intervenire la Suprema Corte di Cassazione che non solo non ha ritenuto che l’indebito assistenziale sia materia soggetta integralmente al principio generale dell’art. 2033 c.c. ma, anzi, ha ribadito, in ogni pronuncia sulla questione, che nell’ambito della previdenza e dell’assistenza obbligatoria si è affermato un “principio unico di settore” secondo il quale, in luogo della generale regola di incondizionata restituzione dell’indebito, trova applicazione la regola propria di tale ambito, che esclude la richiesta di restituzione delle somme erogate quando “l’errore” non è riconducibile al beneficiario.

Anche per l’indebito su prestazioni assistenziali si è dunque venuta affermando, per via giurisprudenziale, una maggiore tutela dell’invalido a cui viene riconosciuta l’applicazione del principio del cosiddetto affidamento che si realizza quando, dopo l’esito negativo della visita di revisione, l’Istituto non intervenga in modo tempestivo con la revoca della provvidenza e la concreta cessazione della sua erogazione.

La Suprema Corte ha osservato anzi che il trascorrere del tempo e la mancata adozione di provvedimenti da parte dell’Inps fa sì che l’assistito sia indotto a credere di poter continuare a percepire la prestazione ed ometta, a sua volta, di proporre tempestivamente ricorso avverso l’esito negativo della visita. Il fatto che la richiesta di restituzione delle somme intervenga dopo anni di indebita erogazione, priva inoltre l’assistito di idonee tutele (amministrative e giurisdizionali), sia riguardo alla contestazione del verbale di visita sia rispetto ad un eventuale mutamento, successivamente alla visita, delle proprie condizioni di salute. In sostanza, senza un provvedimento di revoca dell’Inps e in più continuando a percepire la prestazione, l’assistito non ha alcuna ragione per opporsi.

La Cassazione ha quindi sancito il principio secondo il quale l’Istituto deve comunicare in modo tempestivo la revoca della prestazione assistenziale e deve procedervi in concreto interrompendone la erogazione, altrimenti non potrà chiedere la restituzione dei i ratei non dovuti e comunque percepiti senza dolo dall’assistito.  

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La prescrizione delle somme indebitamente accreditate

L’Inps ha 10 anni di tempo per poter richiedere al cittadino la restituzione di somme indebitamente corrisposte. Occorre quindi fare attenzione all’anno a cui si riferiscono le richieste di restituzione.

Riguardo, invece, agli indebiti per motivi reddituali, la legge in vigore prevede che l’Inps paghi le prestazioni per l’anno in corso e poi provveda a richiedere i dati reddituali. L’anno seguente procede ad eventuale conguaglio. A tutela del pensionato l’art. 13 della legge 412 del 1991 ha previsto che l’Inps, salvo il dolo del pensionato, ha solo un anno di tempo, dalla comunicazione dei dati reddituali, per poter richiedere indietro le somme indebitamente percepite.

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