Trattamento minimo delle pensioni: requisiti e condizioni

Trattamento minimo delle pensioni: requisiti e condizioni

L’integrazione al minimo della pensione (trattamento minimo delle pensioni) è una misura di tutela sociale prevista dall’ordinamento italiano, pensata per garantire ai pensionati un reddito minimo, considerato essenziale per una vita dignitosa.

In questo articolo vediamo in cosa consiste questa integrazione e quali sono i riferimenti normativi che ne regolano il funzionamento e l’adeguamento nel tempo.

Introdotta dalla Legge 638/1983, l’integrazione al minimo si applica quando l’importo della pensione è inferiore al cosiddetto “trattamento minimo”, stabilito annualmente dallo Stato. In pratica, se la pensione spettante risulta più bassa di questa soglia, l’INPS provvede a integrarla fino a raggiungere l’importo minimo previsto dalla legge.

Il valore del trattamento minimo viene aggiornato ogni anno sulla base dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo, per tenere conto dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita.

Per il 2025, il trattamento minimo è stato fissato a 603,40 euro mensili per tredici mensilità, come indicato nella circolare INPS n. 23 del 28 gennaio 2025. A questo importo si aggiunge un incremento del 2,2%, stabilito dalla Legge di Bilancio 2025, che porta l’assegno minimo a 616,67 euro al mese. Si precisa che l’integrazione al minimo non viene riconosciuta automaticamente a tutti i pensionati, ma solo a coloro che rispettano determinati requisiti.

A chi spetta l’integrazione

Il diritto all’integrazione al minimo spetta a chi percepisce una pensione di importo inferiore al trattamento minimo, come visto in precedenza. Per poterne beneficiare, è tuttavia necessario soddisfare i seguenti requisiti:

  • essere titolari di pensioni dirette (vecchiaia, anticipata, invalidità) o indirette (reversibilità, superstiti) erogate dall’INPS, dai fondi speciali per i lavoratori autonomi o dai fondi sostitutivi o esclusivi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
  • aver maturato il diritto alla pensione con il sistema retributivo o misto, cioè aver iniziato a versare contributi prima del 1° gennaio 1996;
  • avere la residenza in Italia.

Restano esclusi dall’integrazione al minimo i titolari di pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo, ovvero coloro che hanno versato il primo contributo dopo il 31 dicembre 1995. Tuttavia, qualora in possesso dei requisiti richiesti, questi soggetti possono accedere a una quota di assegno sociale.

Trattamento minimo delle pensioni: limite di reddito

Il limite di reddito per ottenere l’integrazione al minimo della pensione viene stabilito annualmente e varia in base alla situazione familiare del pensionato (single o coniugato) e alla data di decorrenza della pensione. Per il 2025, i valori aggiornati sono stati comunicati dall’INPS con la già citata circolare n. 23/2025 e dalla Legge di Bilancio 2025.

Per i pensionati non coniugati, il limite di reddito personale per avere diritto all’integrazione piena è pari a 7.844,20 euro annui. Se il reddito personale supera questa soglia, ma resta inferiore a 15.688,40 euro annui, spetta comunque un’integrazione parziale, calcolata in modo da non oltrepassare l’importo del trattamento minimo.

Nel caso di pensionati coniugati, la normativa distingue tra:

  • pensioni con decorrenza fino al 31 gennaio 1994: si considerano solo i redditi del titolare, anche se è sposato;
  • pensioni con decorrenza successiva al 31 gennaio 1994: si valutano sia i redditi individuali che quelli del coniuge. In questo caso, il pensionato non deve superare il limite individuale di 15.688,40 euro annui e il reddito complessivo della coppia non deve oltrepassare quattro volte il trattamento minimo, pari a 31.376,80 euro annui per il 2025.

Per i pensionati andati in quiescenza nel 1994, i limiti sono differenti: il reddito individuale non deve superare i 15.688,40 euro annui, mentre quello coniugale è fissato a 39.221,00 euro annui.

L’integrazione viene riconosciuta in misura piena se il reddito (personale o coniugale) rientra nei limiti minimi. Se invece supera il minimo, ma resta entro il tetto massimo previsto, l’integrazione sarà parziale: l’importo viene calcolato sottraendo il reddito dal limite massimo e dividendo la differenza per il numero di mensilità.

Il rispetto dei limiti è fondamentale per accedere all’integrazione al minimo, che viene verificata ogni anno dall’INPS sulla base delle dichiarazioni reddituali fornite dal pensionato.

Inoltre per i lavoratori iscritti alla previdenza obbligatoria a partire dal 1996, non è prevista l’integrazione al minimo, ma con una sentenza di luglio 2025 la Corte Costituzionale ha  chiarito che il tipo di sistema di calcolo della pensione (retributivo, misto o contributivo) non può incidere sul diritto del cittadino a ricevere mezzi adeguati alle esigenze di vita, come previsto dall’articolo 38 della Costituzione.

Nel caso dell’assegno ordinario d’invalidità, a differenza delle altre tipologie di pensioni, il legislatore ha previsto una regola speciale: qualora l’importo sia inferiore al minimo, può essere integrato – nel rispetto dei requisiti reddituali – fino ad un massimo pari al trattamento minimo (603,40 euro mensili nel 2025), ma non oltre l’importo dell’assegno sociale (538,69 euro).

La Corte ha riconosciuto che, trattandosi di una tutela legata a una condizione di bisogno oggettivo, anche chi rientra nel solo sistema contributivo deve poter accedere all’integrazione, così da non restare privo di sostegno economico in età attiva.

Per approfondimenti in merito all’argomento trattato e per qualsiasi informazione di natura previdenziale, è possibile rivolgersi alle sedi del Patronato 50&PiùEnasco.

Potrebbe interessarti anche

Hai bisogno di consulenza e assistenza previdenziale?